Conversazione con Gualtiero Cannarsi sulla prima edizione italiana di Evangelion – Parte 2
Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre 2023 da Amministratore
A seguito della lettera aperta recentemente diffusa da Francesco di Sanzo a proposito della prima edizione italiana di Neon Genesis Evangelion, abbiamo pensato di rivolgere delle domande a Gualtiero Cannarsi, direttore artistico e autore dell’adattamento italiano della serie originale.
La conversazione prosegue dalla prima parte pubblicata la settimana scorsa.
* * *
Addentriamoci nel vivo del discorso, senza peli sulla lingua: dicevi dei tuoi limiti giovanili, e in effetti non deve essere stato facile, per un adattatore con ancora poca esperienza come eri tu al tempo, lavorare su un anime così particolare. Prima facevi capire quanto fosse stato complicato ricercare sia i termini scientifici, sia i semplici nomi dei luoghi. In quali dei due ambiti credi di aver fatto più errori, quello fantascientifico o quello realistico?
Direi che più di tutto vi fu un certo livello di fraintendimento generale dell’opera in sé. Ti faccio un esempio che credo lampante: da ventenne italiano leggevo che sulle riviste giapponesi ripetevano: “Evangelion è realistico, Evangelion è la science-fiction realistica”, e continuavo a chiedermi: “Ma dove cavolo lo vedono il realismo?”. Insomma, tra me e me pensavo: “Qui c’è un grosso robot di colore viola con un grosso cavo di alimentazione che gli parte dalla schiena, e dicono realistico?”. Nella mia mente gli archetipi di realismo del genere erano piuttosto i Mobile Suit di Gundam, che non erano la mia passione, però vedevo la differenza. Mi dicevo: “semmai in Gundam ci sono tanti Mobile Suit come dei mezzi bellici, e qua invece c’è il robottone viola esagerato che sembra una specie di supereroe”. Quindi di dapprima proprio non vedevo alcun realismo in Evangelion. In seguito mi resi conto che c’era perlomeno una grande ricerca di realismo a livello di caratterizzazione psicologica dei personaggi, che però ancora mi sembravano parecchio esasperate nella loro drammaticità, anche a dispetto di tutto l’impianto simil-filosofico di supporto. Quello che avrei capito solo molto in seguito è che il vero realismo di Evangelion, davvero spregiudicato, non è né nella componente science fiction, e neppure nell’esagerazione drammatica dei traumi mentali ed emotivi dei protagonisti, ma semplicemente in tutto il resto. Ovvero è nella sociologia del mondo in cui si colloca questa trama science fiction. Il realismo di Evangelion è nel prendere il treno metropolitano, nel fare la spesa al minimarket o il bucato alla lavanderia a gettoni, nel fatto che ci sono le tazze di caffè aziendali, i posaceneri sulle scrivanie, tutti questi dettagli colorano di realismo un mondo fantascientifico e iperdrammatico. Quindi il realismo è in tutto il setting. E questo mondo realistico è popolato da personaggi problematici spesso eccessivi, ma comunque credibili perché segnati da affetti e relazioni realistiche spese in una rappresentazione di vita quotidiana comunque realistica. Per esempio mi viene in mente l’episodio 9, Shunkan, Kokoro, Kasanete, in cui Asuka si alza la notte e va in bagno e poi si sente che tira lo sciacquone. Una cosa banale, vera. Non sono le cose che vediamo fare ai supereroi, di solito. Però in Evangelion le vediamo perché i personaggi sono persone, anche se salvano il mondo restano persone realistiche, e voglio dire che poi in quell’episodio succede la cosa più assurda e fantascientifica e fantasiosa di tutte, ovvero fanno l’attacco a due armonizzato come balletto, che chiaramente non ha alcun realismo (ride), però le persone in tutto questo sono credibili nel loro mondo, che altro non è che la rappresentazione del Giappone contemporaneo, metropolitano. Ecco, questa cosa non l’avevo proprio capita. D’altro canto per un italiano che negli anni novanta non aveva mai messo il naso in Giappone tutto quel ‘mondo reale’ era comunque un mondo di fantasia, in fondo solo vagheggiato e quindi immaginario. E non me ne potevo neanche rendere conto, perché sarebbe stato completamente al di fuori delle mie possibilità, che tutto questo aspetto di realismo dei rapporti permea tutti i dialoghi e tutto il testo di Evangelion. Per esempio, che so, fin dalla prima battuta, dai registri linguistici che vengono utilizzati, in giapponese ci si rende conto che il modo in cui i parlano i militari (sto pensando al primo episodio) è un modo vecchio, è un modo sclerotizzato. Sembrano i militari di un film di daikaiju, dei grandi mostri giapponesi degli anni ’60, sembrano i militari di un vecchio film di Gojira.
Ovviamente potremmo dire: “per forza, quelle erano le passioni del regista Hideaki Anno“…
Giusto. Però queste cose in giapponese si sentono parecchio, spiccano davvero. Si vede bene che l’apparato militare è un apparato stantio, in Evangelion. Ed infatti è impotente di fronte ad una minaccia nuova. Oppure, fin dall’inizio si sente che Gendou e Fuyutsuki non sono tanto comandante e vicecomandante, ma sono due persone che evidentemente si conoscono da molto tempo. Perché tra di loro parlano con confidenza. Nel senso che Fuyutsuki, fin dall’inizio, si rivolge a Gendou quasi come un suo tutore, come una persona che redarguisce un alunno. È strano, perché in teoria Gendou è il comandante e Fuyutsuki è il vicecomandante. Tutti questi rapporti sono molto forti, e il personaggio che rispetto alla versione giapponese cambia tanto tanto tanto è Misato. Perché Misato è il personaggio più drammatico (in senso proprio, recitativo), ed è sicuramente un personaggio di cui io per primo non avevo capito quasi nulla. Però in originale è palese, ora mi è evidente, e per me è quanto più umiliante perché in realtà, a soppesare il totale della serie, la cosa è cruciale. Anzi credo che proprio questo elemento sia forse il vero collante del più intenso valore della serie, nonché il segreto del suo successo in patria, prima di tutto: per quanto esagerato dal punto di vista narrativo, fantascientifico, psicologico… Evangelion era una perfetta rappresentazione simbolica dell’empasse sociologico e sociale del Giappone del suo tempo. Come le migliori opere di finzione, anche letteraria, utilizzando espedienti narrativi spettacolari metteva in scena una rappresentazione simbolica in cui gran parte del pubblico poteva ritrovare, specchiandosi, le proprie stesse tensioni, i propri timori e problemi interiori. E questa rappresentazione simbolica, nata dalla sensibilità artistica dell’autore, era giusto un po’ in anticipo sulla percezione diffusa dei tempi, come sempre accade con l’arte, indi il pubblico ne traeva anche un blandamente inquietante senso di rivelazione. D’altro canto Anno Hideaki aveva dichiaratamente inteso proiettare nell’opera tutti i suoi turbamenti, tutto sé stesso, rendendosi implicitamente araldo e antesignano delle presa di coscienza delle tensioni proprie della sua generazione. Tensioni emotive, soprattutto relazionali. Le tensioni di una generazione nata nella bambagia di un benessere diffuso ma in qualche modo fittizio, e così inabilitata alla crescita interiore reale.
E dici che anche tutto questo si rifletteva nei testi, nei dialoghi della serie?
Certamente. Beh, oggi noi tutti disponiamo di tante fonti di approfondimento prima indisponibili, quindi coglierlo è anche più semplice, ma di fatto quando Anno Hideaki concepisce Evangelion, concepisce la serie come la storia di un ragazzino e una giovane donna che hanno lo stesso problema relazionale, e rispondono a questo problema relazionale in due maniere opposte, muovendosi in un mondo di surreale consumismo cristallizzato. Hanno una vita fittizia, sono fermi nella loro crescita interiore. Perché il ragazzino reagisce chiudendosi in sé stesso, la giovane donna con una affettata esuberanza. E per esempio, a livello di dialoghi, il fatto che l’esuberanza di Misato sia esagerata, sia posticcia, questo viene reso esplicito fin dall’inizio ed è chiaro fin dall’inizio. Quando Misato si porta a casa Shinji nel secondo episodio, lei sta esagerando, tant’è che poi se lo dice anche, lo dice a sé stessa: “avrò esagerato con l’euforia?”. Dopodiché questo tema, ovvero che Misato esageri euforicamente, torna fuori in tutta la serie: un episodio in cui poi viene detto chiaro e tondo è l’episodio 15. E questa cosa va avanti fino all’episodio 21, in cui scopriamo che Misato è stata afasica dopo aver subito il trauma del Second Impact e che è diventata sovra-chiacchierona in seguito, e poi ancora nel corso della serie conosceremo i vari traumi di Misato e persino le ragioni della sua eccessiva sessualizzazione. Però essenzialmente Misato è il tipo di persona che è totalmente inabile alla comunicazione, tanto quanto Shinji, solo che Shinji nel dubbio tace, Misato nel dubbio parla troppo. Nei dialoghi giapponesi ci sono tutte queste sfumature, che si intrecciano profondamente con lo sviluppo della trama e soprattutto che fanno parte dello scolpito dei personaggi, quindi si riflettono sempre in quello che dicono e in come lo dicono. Ancora, Misato parla in una maniera davvero molto colorita, fortemente caratterizzata, usa spesso parole di slang anche demodé, persino inventate, e la cosa più dolce di tutte è che andando avanti nella serie Hyuuga, che è innamorato di Misato, cerca di andarle appresso (ride), e cambia nel senso che all’inizio della serie Hyuuga è molto compito, poi per cercare di andare incontro a Misato, con cui diventa più intimo, cerca anche lui di fare delle battute stupide, però è goffo e non ci riesce (ride). Ovviamente queste sono tutte cose di cui ai tempi dell’edizione italiana non mi ero minimamente avveduto, ahimè.
E allora dicci: ma è vera la voce secondo cui tu avresti riadattato per tuo puro gusto personale l’intera serie?
No, questo è totalmente falso. Di vero c’è semmai che avevo ritoccato giusto un pochino soltanto il primissimo copione, perché quando ancora c’era la Dynamic Italia, all’alba dei DVD, si pensò col vecchio direttivo “Ah, certo, visto che faremo i DVD di Evangelion con l’occasione potremmo magari ritoccare un po’ il doppiaggio”. Stiamo parlando ancora tipo del 2002. E allora, nel 2002, ripresi in mano il primo copione, giusto per vedere cos’erano le cose più stonate, ma comunque non si trattava di una rielaborazione totale e soprattutto era solo per il primo copione, come prova. Voglio dire, dall’inizio del mio lavoro su Evangelion alla fine del mio lavoro di Evangelion io ero già cresciuto molto, tant’è che gli ultimi episodi avevano dei testi che ritengo ancora oggi discretamente buoni. In effetti anche come visione delle cose ero maturato parecchio, e un grande gradino di crescita professionale per me era stato il lavoro che feci su FLCL, subito dopo Evangelion. In ogni caso poi ci fu un turnover del direttivo aziendale che portò alla cessazione della mia collaborazione con l’azienda, e non se ne fece più nulla. In ogni caso, non ho mai scritto a livello personale un intero riadattamento della serie.
E invece, come venne effettuata la distribuzione delle voci italiane sui ruoli?
Le scelte che vennero fatte più di vent’anni fa erano molto ingenue, del tipo: “Aaah, secondo me su quel personaggio ci starebbe bene…”, o “Ah! Ma quella voce…!”. Questi eravamo io e “il capo” (sempre Francesco di Sanzo), e se mi chiedi ora, ti dico che la sensazione era quella di due appassionati che fantasticano sul tutto. Una cosa di stampo pressoché amatoriale. Ad esempio, il motivo per cui Katsuragi Misato venne doppiata da Stella Musy, una doppiatrice a me molto cara a livello artistico, è principalmente che io personalmente ritenevo straordinaria la sua interpretazione per come doppiava Tendou Akane in Ranma 1/2. Ovvero, quando era stato fatto il doppiaggio di Ranma 1/2, ed erano ancora i tempi della Granata Press e io già mi occupavo di rivedere un po’ i dialoghi, e a quei tempi tutti osannavano soprattutto la bravura di Monica Ward, che doppiava la versione femminile di Ranma… mentre io ero rimasto colpito soprattutto dalla voce di Tendou Akane. In realtà probabilmente le interpreti erano entrambe giuste così sui due ruoli, perché si trattava di due ruoli ben diversi, tuttavia quando si trattò di doppiare Katsuragi Misato, che essenzialmente è la seconda protagonista di Evangelion insieme a Shinji, io volli fortemente Stella Musy sul ruolo. Proprio per questo, nessun provino venne fatto per il personaggio di Misato. E volendo ci sarebbero dei retroscena ancora più buffi, come per i personaggi di Ayanami Rei e Ikari Gendo, nell’assegnazioni dei cui interpreti ai tempi pensammo di replicare la coppia delle voci italiane di Matilda e Léon dall’omonimo film di Luc Besson – anche qui senza nessun provino, a “colpo sicuro”. Sembra una cosa parecchio dilettantistica, e in effetti lo è, nel senso che non è questo un buon modo per fare un cast di doppiaggio, no? Il cast di un doppiaggio italiano andrebbe sempre composto studiando a fondo le caratteristiche, le logiche alla base del cast originale. In un doppiaggio, ogni cosa non dovrebbe ‘reinventare’ nulla, ma ‘ricreare’ quanto più fedelmente possibile l’originale. E per fare questo bisogna partire dall’attento studio, da una profonda analisi, e quindi comprensione, dell’originale. In tutto e per tutto. Quindi scegliere delle voci “a gusto personale ed entusiasmo” come facemmo noi mi pare oggi un terribile pressappochismo, e di certo anche una cosa un bel po’ imbarazzante, però è così che andò. Questo perché suppongo che tutti quanti abbiano avuto un’età dell’innocenza, che poi è un modo elegante per dire che eravamo volenterosi ma impreparati: era un livello di ragionamento quasi prosumer, non certo professional, ma del resto sto sempre parlando di me medesimo che ai tempi parlavo col direttore di Dynamic Italia, e io avevo vent’anni, lui ne aveva trenta. Adesso io ne ho quarantadue. Le cose cambiano, i tempi passano, le esperienze si accumulano e auspicabilmente le conoscenze crescono. Però ce la mettemmo tutta, anche come risorse! Per esempio nel caso di Shinji si fecero tanti provini, dico ben UNDICI, perché non sapevamo proprio dove andare a sbattere la testa, e alla fine ricordo benissimo che tra i tanti provini, quando stavamo cercando tutte le possibili voci maschili sufficientemente ‘leggere’, accadde che in un OVA di Nagai Go che era stato doppiato per la Granata Press intitolato Shutendoji incappammo in un ‘piccolo personaggio’, ovvero un personaggio minore, un giovane esper… io dalla videocassetta italiana sentii la sua voce e dissi: “ma chi è questo doppiatore?”. Non lo sapevamo, perché era un giovane emergente. Facemmo fare il provino anche a lui, scoprimmo così che si chiamava Daniele Raffaeli, e ai tempi lui fu senz’altro la migliore e molto fortuita scelta per Shinji.
Ai tempi della prima edizione italiana il fandom fu molto critico sulla durata dei tempi di pubblicazione, e sul formato di serializzazione in VHS, ognuna delle quali presentava solo due episodi per il prezzo di 39.900 lire. Queste ‘particolarità’ furono dovute alle difficoltà incontrate nel corso di traduzione adattamento e doppiaggio, o perché fu una scelta editoriale (molto curiosa e difficile da giustificare, permettimi di dirlo)?
Personalmente direi: entrambe le cose. Provo a spiegarmi. Da un lato avevamo questa serie che ci appariva di un livello di contenuti superiore a qualsiasi cosa da noi lavorata sino a quel momento. Come dicevo, questo aveva comportato delle ‘rivoluzioni’ nei modi (e nei conseguenti tempi e costi) della sua lavorazione. Dall’altro lato, dato che si trattava di un prodotto molto atteso e bramato dal pubblico, io per primo ero fortemente convinto che fosse necessario presentarlo come un prodotto di lusso, come un prodotto in tutto e per tutto superiore a quanto da noi pubblicato sino ad allora. Si trattava, pensavo, di qualcosa che avrebbe dovuto stupire come se fosse “di tutta un’altra categoria”, per creare una sorta di mitologia dell’oggetto/prodotto, oltre che del suo contenuto.
E quindi fu per questo, il prezzo più alto?
Non solo. Ci furono tante piccole scelte, che mi adoperai anche personalmente quasi per imporre con pervicacia, che contribuirono obiettivamente a far levitare i costi di lavorazione del prodotto, e quindi il suo prezzo di vendita. In primis, il formato di serializzazione, che per la verità fu una scelta subito condivisa a livello aziendale: solo due episodi in ogni videocassetta, quando tutti gli altri nostri prodotti seriali ne contenevano tre o persino quattro. Tuttavia in Giappone Evangelion era una serie animata televisiva che veniva proposta al pubblico come fosse una serie di OVA. Siccome dapprima le major del giocattolo avevano rifiutato di supportare la serie, Evangelion puntava piuttosto alla vendita in home-video. Oggi sappiamo come questo avrebbe cambiato l’intero mercato giapponese, proponendo un nuovo modello di business che era in effetti l’ibridizzazione dei due precedenti. Quindi in Giappone Evangelion, pur essendo una serie televisiva, veniva proposto in home-video come un prodotto per appassionati fanatici, non come una serie generica. Anche i Laser Disc originali contenevano sono due episodi ciascuno, uno per lato, ed erano in formato CAV, quello dalla più alta qualità video. La grafica dell’originale era molto raffinata, in qualche modo piena di stile, di eleganza, e insieme ad ogni uscita erano proposti ricchi materiali testuali di corredo, che esplicavano elementi della serie, espandendone l’universo, e introducevano curiosità e dettagli maniacali di cui i fan del tempo andavano ghiotti. A quel tempo, pensai, noi in Italia già proponevamo alla nicchia di appassionati nostrani qualsiasi prodotto come se fosse un OVA, perché lo vendevamo in costose videocassette che i fanatici erano disposti a pagare per vedere dell’animazione giapponese trattata “da appassionati”. Ricordi? Si producevano persino edizioni home-video di serie amate in TV e da noi ridoppiate in modo fedele all’originale, mentre in TV erano state deturpate in ogni modo, come Orange Road, per esempio. Quindi, per far ulteriormente spiccare Evangelion nel nostro mercato già di nicchia, occorreva caricarlo di ancora maggiore stile, contenuti, conferendogli un’aura lussuosa. Così forzai la mano su un sacco di scelte grafiche, soprattutto quelle che eliminarono la pubblicità dai retrofascetta di copertina e da qualsiasi volantino interno. Dato che si parlava di un prodotto di punta, con alte prospettive di vendita e diffusione, ovviamente a livello aziendale venni ritenuto del tutto scemo. Ma insistetti strenuamente, perché volevo a tutti i costi che coloro che avessero acquistato Evangelion trovassero poi nell’oggetto acquistato solo Evangelion, e null’altro ad ‘inquinarlo’. Suppongo che al tempo questa fosse anche la mia mentalità concettualmente feticistica di appassionato, in verità. E poi pensammo anche di realizzare uno speciale volumetto che illustrasse i ricchi contenuti della serie, da allegare alle videocassette, e così venne create l’Evangelion Encyclopedia. Infine inserimmo anche dei gadget esclusivi solo per la prima tiratura delle videocassette. Tutto era pensato per ingigantire l’evento di ogni uscita di italiana di Evangelion, per rendere ogni videocassetta un “oggetto del desiderio”, e anche il prezzo doveva essere dimensionato e coerente con una simile prospettiva.
Ritieni che queste tue idee si siano riprovate corrette?
Personalmente ne sono del tutto convinto. Questo non per fede cieca, ma per dato di fatto, ovvero si denota che Evangelion era il prodotto di gran lunga più costoso del nostro catalogo, eppure era di gran lunga il più venduto. Vendeva di più all’uscita, e vendeva di più al riordino. Dati alla mano, le videocassette di Evangelion vendevano il doppio, anche il triplo delle altre. Se fosse stato solo per l’interesse del contenuto, il dato non si spiegherebbe: a quei tempi c’erano tanti pirati, c’erano noleggiatori di frodo, c’erano gruppi di amici che avrebbero potuto comprare una videocassetta per vederla in molti, cosa che difatti facevano in tanti e che mi riempiva di gioia. Eppure, Evangelion vendeva così tanto più di tutto il resto. Il che significava e significa una cosa sola: gli acquirenti desiderano possedere l’oggetto prodotto. Più avanti nella storia del mercato si sarebbe pensato che produrre edizioni speciali molto ‘baraccone’, ricche di gadget voluminosi, avrebbe giustificato dei prezzi premium. Ma di mio sono sempre stato avverso a questa logica: alla fine il ciarpame è ciarpame, e inquina la purezza del prodotto. Se si vende una videocassetta, nulla di esterno o aggiuntivo alla sua confezione dovrà allegarsi. Al contrario, bisognerà curare allo stremo gli interni dell’oggetto, ogni dettaglio, ogni minuzia, spingendolo a una sobria eleganza che sarà percepita in modo soprattutto inconscio. Questa è sempre stata la mia logica, e difatti sono convinto che con Evangelion tutto contribuì a farlo percepire nel mercato come qualcosa di straordinario, qualcosa “da avere assolutamente”. Un piccolo lusso da volersi poter permettere, da conquistare, da attendere famelicamente, da acquistare magari risparmiando un pochino, e poi da tesorizzare. In realtà, è il desiderio che nutriamo verso qualcosa che lo rende poi speciale per noi, una volta che lo otteniamo. È come un investimento inconscio: tutto il tempo che investiamo su un oggetto nel desiderarlo ci torna in soddisfazione quando lo otteniamo. Credo sia una psicologia umana. Il desiderio è una forma di tensione dell’animo, che diviene sin ossessivo nello stillicidio della sua insoddisfazione fino all’apoteosi della sua realizzazione. I desideri rapidamente soddisfatti sono facilmente dimenticati. Non credo che la gioia sia nell’attesa, come diceva qualcuno: credo che nel nostro caso si tratti di una più profonda logica di istigazione feticistica, ovvero di coltivare la gioia del possesso.
In effetti, nella sua recente lettera aperta in cui si approfondiva sul tuo coinvolgimento sull’edizione italiana di Evangelion, anche Francesco Di Sanzo parlava di un tuo contributo alla linea grafica della serie. E tu stesso ne hai accennato poco fa. Puoi raccontarci qualcosa in più?
Ma certo, per me sono ricordi molto cari, e forse la cosa è anche simpatica. Come dicevo, la mia personale intenzione era quella di conferire al prodotto un particolare senso di “lusso minimalista dell’eleganza”, ecco. Piuttosto che cose roboanti, appariscenti, cercavo un senso più sottile, quasi impercettibile a prima vista, ma con un potere di seduzione inconscia. Io non avevo reali competenze grafiche, però da un lato a quei tempi la sede della Dynamic Italia era attigua al nostro stabilimento grafico e fotolitistico, dall’altro ho sempre amato chiacchierare con i professionisti intorno a me, farmi raccontare tante cose, e poi elaborarle, riflettendo sulle mie stesse impressioni. A quei tempi, per esempio, io avevo la netta sensazione che i volumetti di manga pubblicati dalla allora da poco defunta Granata Press avessero un’aura molto più elegante e lussuosa di tutto quello che altri editori avessero mai pubblicato. In effetti lo penso ancora, ma questa cosa già mi incuriosiva ai tempi. La grafica dei volumi della Granata Press era stata creata da un professionista di nome Roberto Ghiddi, che avevo avuto modo di conoscere anche io, e che aveva dato anche “l’avvio” alla linea grafica di Dynamic Italia. Credo che Roberto sia purtroppo scomparso, non da molto tempo, ma personalmente ne conservo un ricordo molto vivido a dispetto del poco tempo che ebbi modo di condividere con lui. Credo che fosse davvero straordinario. E si noti che il suo approccio grafico era, in teoria, piuttosto lontano dai miei generici ideali. Perché con la grafica come con ogni cosa di mio tenderei sempre a ricalcare l’originale pressoché in tutto e per tutto. Al contrario, direi anche e soprattutto in un’epoca in cui la disponibilità di materiali originali giapponesi era molto più ridotta, Roberto impostava una linea grafica basata su geometrie nitide derivate da elementi caratterizzanti grafici e tipografici, gestendo poi molto oculatamente l’uso del colore secondo gradienti mirati. Credo ancora oggi che dietro alle creazioni grafiche di Roberto Ghiddi vi fosse una ricerca, o forse un’innata sensibilità, davvero molto incisiva, eppure discreta. Elegante. Quindi ai tempi di Evangelion, partendo da simili riflessioni, feci una cosa molto semplice: presi tutte, e dico proprio tutte quante, le videocassette Dynamic Italia prodotte sino a quel momento e le disposi a tappeto, per trarne una visione d’insieme, un colpo d’occhio. Quindi, in logica assolutamente empirica, incominciai a selezionare quelle la cui grafica mi appariva più riuscita, scartando le altre. Una selezione per esclusione progressiva. Quando me ne rimasero sole poche, con logica deduttiva cercai di “distillare” dei canoni, soprattutto di abbinamento cromatico degli elementi fissi e dei loro reciproci rapporti, che secondo me davano compattezza ed efficacia al risultato d’insieme. Annotai tutto. Cose come: “il colore del filo esterno del box in costa corrisponde al filo esterno del logo D di Dynamic Italia”, “il logo è composto di tre sfumature dello stesso colore, quella mediana del quale deve essere la dominante dei fondi di copertina”… tutte note così, una pagina piena. Poi provai ad applicare questa “griglia di rapporti” al primo progetto grafico della copertina della GENESIS 0:1 che era stata creata dalla giovane Claudia Cangini, che dirigeva il reparto grafico dell’azienda. La grafica italiana delle videocassette di Evangelion era già stata creata, e seguiva molto quella originale giapponese – cosa che personalmente mi convinceva molto. Con questo ulteriore, forse piccolo apporto credo che si canonizzò uno stile più coerente, compatto, e delicatamente curato. Perché impostammo dei rapporti cromatici che sarebbero rimasti stabili per tutta la serie. Delle regole interne alla linea grafica. Oltre a questo, iniziai a proporre tutte quelle cose un po’ pazze come “niente pubblicità interna, mettiamoci delle illustrazioni tematiche e la lista di tutti i titoli degli episodi!”, che in effetti derivavano anche queste delle linee grafiche che Roberto Ghiddi aveva inventato per i primi volumetti monografici pubblicati da Granata Press all’inizio degli anni novanta: se ci fate caso, in quarta di copertina, invece che la pubblicità di altre testate, c’era la lista di tutti i titoli dei capitoli della serie pubblicati fino a quel numero.
Però nell’interno delle fascette di Evangelion, sul lato destro, vennero pubblicati sin da subito tutti i titoli di tutti gli episodi…
Sì, fu una mia precisa richiesta. Da un lato non avrei voluto elementi grafici, o meglio “ingombri di grafica” eccessivamente variabili da una videocassetta all’altra. Come dicevo, cercavo la fondazione di una regolarità, di uno stile riconoscibile. Inoltre, pensai che pubblicando da subito i titoli di tutti gli episodi, spiccando solo cromaticamente quelli degli episodi contenuti nel volume corrente, avremmo sobillato la percezione subconscia che l’azienda stesse già lavorando l’intera serie. Ovvero, cercavo di fondare nel pubblico la fiducia che la pubblicazione della serie sarebbe stata portata a termine. D’altro canto, sapevamo che sarebbe stata una pubblicazione lenta e tortuosa, e trattando del prodotto più costoso del nostro catalogo stavamo comunque chiedendo agli acquirenti un implicito “investimento sulla fiducia”.
Prima citavi l’Evangelion Encyclopedia, che dai suoi credits sappiamo che scrivevi tu stesso. Ma come venne fuori il suo progetto? E su cosa si basavano i suoi contenuti?
Come dicevo, a quel tempo anche in Giappone si produceva home-video sempre più curato anche per queste nuove “serie TV brevi” che poi venivano proposte in VHS e LD come fossero state degli OVA. Nella nostra redazione circolavano ovviamente molti materiali originali giapponesi, per mille motivi. Ricordo che rimanemmo colpiti da un fascicoletto di approfondimento accluso all’interno della prima VHS giapponese di Kidou Senkan Nadesico. Parallelamente, anche solo per documentarmi su Evangelion e scrivere al meglio i dialoghi italiani avevamo già iniziato a far tradurre quei materiali testuali originali che ti dicevo essere inclusi ai LD giapponesi della serie. Quindi, data la complessità e la ricchezza dell’argomento, pensammo di creare anche noi un fascicoletto da includere con le nostre VHS. D’altro canto, anche l’azienda nostra omologa francofona, che si chiamava Dynamic Vision e che era un po’ più avanti di noi nella pubblicazione di Evangelion (mi pare che loro avessero dapprima iniziato proponendo un’edizione giapponese sottotitolata in francese), avevano proposto dei materiali testuali di approfondimento sfruttando l’ingegnosa idea di usare delle copertine ‘pieghevoli’ per le VHS, dispiegando le quali si ottenevano dei mini-poster ricchi di testi informativi. Nel nostro caso volemmo andare anche oltre: siccome anche senza aver compreso appieno il ‘realismo’ di Evangelion comunque notavo in certo livello di elementi di cultura sociale giapponese, in un mondo in cui Wikipedia ancora non esisteva pensai di integrare anche questo tipo di informazione: cos’è la zuppa di miso di cui parla Misato (ep.7)? E i vari tipi di ramen che vengono ordinati al chiosco (ep.12)? La mole delle informazioni da divulgarsi così aumentava sensibilmente. In più c’erano un sacco di ‘cartelli a video’ molto estensivi, nel tipico stile di Anno Hideaki, che certo non si sarebbero potuti titolare su schermo, e che quindi pensammo di tradurre nel fascicolo “enciclopedico”. L’idea era quella di fornire al pubblico, insieme a ogni videocassetta, un vero e proprio compendio di tanti materiali che avrebbero potuto supportare una piena fruizione dell’opera. Quindi organizzai tutti i materiali secondo una quanto più precisa logica da me congegnata, e su quella creammo la struttura di un volumetto. Per quanto riguarda la grafica, mi misi accanto alla citata Claudia Cangini, che partendo dalle mie “richieste creative” la creò pezzo per pezzo, suggerendo soluzioni e integrando elementi strutturali. La creazione grafica dell’Encyclopedia venne insomma calcata sui suoi contenuti: non era un semplice contenitore estetico del testo, ma un vero e proprio elemento costitutivo del prodotto cartaceo. In effetti la si potrebbe forse paragonare più alla grafica di un sito Web di quei tempi, che di un fascicoletto editoriale. L’uso dei colori, la connotazione delle sezioni e delle pagine, tutto era pensato secondo la tipica “logica di orientamento” di un buon sito Web: alla base c’è una struttura ordinata, e la grafica la rende esplicita, così che in qualsiasi momento, in qualsiasi pagina si apra l’opera, si può istintivamente capire “dove ci si trova”. In effetti sembra proprio la logica di “navigazione di un sito Web”, piuttosto che da progetto grafico editoria di una rivista, no? In ogni caso, si trattava ancora una volta di una produzione accessoria nata più per passione che per altro, quindi spinta da una volontà creativa quanto più maniacale, e infatti realizzandola la cosa crebbe e crebbe, dal livello di documentazione dei contenuti a quello di specificazione della grafica sino alla foliazione, sicché alla fine il tutto risultò molto più corposo di quello che avremmo pensato all’inizio, ma ormai eravamo in ballo…
E come mai da un certo punto non venne più realizzata?
Principalmente perché la sua realizzazione era molto onerosa in termini di tempo. In primis per me, che la ideavo e la scrivevo, e poi per tutti i reparti coinvolti. Era la tipica realizzazione concepita con l’assoluta maniacalità dell’appassionato fanatico. E siccome nel frattempo mi occupavo anche di scrivere i dialoghi della serie, di seguirne le registrazioni del doppiaggio, di dirigerne la post-produzione audio e video… questo rallentava sempre più le uscite, specie quando poi mi si chiese di dedicarmi in parallelo anche a Tenkuu no Escaflowne, un’altra serie che nelle nostre intenzioni si sarebbe inserita nel solco “di lusso” tracciato proprio con Evangelion. In definitiva credo che quella dell’Encyclopedia fu un’esperienza e una sperimentazione davvero molto ambiziosa, sensata nel suo tempo: oggi come oggi, con tutto Internet a disposizione, un simile materiale divulgativo cartaceo non avrebbe alcun senso, suppongo. Però è buffo notare come, con tutta l’ingenuità che pure c’era, almeno la nostra proposta informativa era basata su traduzioni professionali di materiali originali, non su chiacchiericcio, sentito dire o speculazioni fantasiose. Avevamo comunque una voglia di serietà, di ufficialità, e per questo trovo ancora più buffo vedere quei volumetti citati non solo su fansite di ogni genere e sorta, ma persino su pubblicazioni accademiche e universitarie, come se ad averli scritti non fosse stato un ventenne entusiasta e molto fissato, ma chissà quale dottorone. C’è da dire, però, che nel nostro settore in ambito “accademico” si leggono tante di quelle corbellerie e plateali invenzioni che c’è poco da star allegri…
La trasmissione su MTV tra il 2001 ed il 2002, appena dopo la fine della pubblicazione dell’ultima VHS fu accolta molto male dal fandom, che si sentì preso in giro, puoi dirci qualcosa al riguardo? Ci fu qualche tipo di modifica o censura finalizzata al passaggio TV?
Il modo con cui Evangelion venne proposto in home-video, come dicevo, fu un grosso successo. La serie continuava a essere molto apprezzata, chiacchierata, e sempre più rinomata. Parallelamente, Francesco Di Sanzo aveva sperimentato con successo le prime trasmissioni televisive dei nostri prodotti su MTV, con la quale credo ci fosse un buon rapporto di collaborazione. E da MTV insistevano per mettere in onda Evangelion. Chiaramente, il modo in cui ci lavoravamo era comunque lento, quindi fino a che non l’avessimo completata una sua messa in onda sarebbe stata impensabile. Non volevamo assoggettare la cura del prodotto a degli stringenti tempi televisivi. Per questo possiamo dire che fu MTV ad ‘aspettare’ per poter mettere in onda la serie.
Quindi, in definitiva, secondo te che valore ha l’edizione italiana di Evangelion?
Beh, alla fine ogni edizione straniera è solo “un falso d’autore e di servizio”. Non è l’originale e non può avere un valore assoluto. È un falso d’autore che, se davvero ben fatto, svolge un servizio, ovvero serve a qualcosa. Ha infatti lo scopo di permettere di fruire un’opera originariamente espressa in una lingua differente da quella del nostro pubblico locale. Io capisco che le persone si affezionino a ciò che hanno conosciuto e amato nel modo in cui l’hanno conosciuto e amato, difatti come sappiamo ci sono tanti casi in cui si nota un’affezione cieca del pubblico anche nei confronti di un falso malfatto, anche fosse palesemente errato, però secondo me questa cosa è brutta. È brutta perché egocentrica, ovvero narcisistica: se mi si dimostra che una cosa è sbagliata, quella è una cosa sbagliata. Non ci si può affezionare a qualcosa al punto da tacere di fronte all’errore obiettivo. Non è una questione di gusti, è una questione di ragione. Questa cosa che sto dicendo forse è un po’ voltaireana, però Voltaire diceva che: “non c’è nessuna tradizione sufficientemente antica per poter sopravvivere al tribunale della ragione, perché la ragione è più antica di ogni tradizione” (ride). Ovviamente questa cosa detta così fa un po’ ridere, però è vero. Nel senso: alla fine vedere un’opera narrativa significa cercare di capire quell’opera. Se quell’opera è stata espressa in una lingua straniera a noi sconosciuta, è un dato di fatto di cui noi siamo incolpevoli. Però questo implica che ci sarà bisogno di una traduzione, in senso lato. Quindi la localizzazione, meglio è fatta a livello di resa dell’originale, meglio è. Tutto il resto è solo affezione ed egocentrismo e come tale secondo me non ha vera dignità. Quindi in definitiva direi che l’edizione italiana di Evangelion, più di venti anni fa, fu il frutto di un grande sforzo e raggiunse un ottimo risultato, per quei tempi. Un risultato che per quei tempi fu così buono da essere persino un po’ una svolta nel nostro piccolo settore. Ma al di là di questo, specie per le mie attuali conoscenze e comprensione dell’originale, si tratta di una localizzazione comunque troppo imprecisa, che sacrifica troppo del contenuto dell’originale.
Ok, allora chiudiamo con un’ultimissima domanda del tutto personale: come ti è venuto di scegliere come nickname storico proprio ‘Shito’? Hai presente a cosa fa pensare in inglese, vero?
Questa cosa è veramente epica… tipo “epic fail“? (ride) Era l’inizio del 1996, lavoravo con la neonata Dynamic Italia, e non è che l’inglese non lo conoscessi… in quel periodo iniziavamo a interessarci davvero a Evangelion, e nel contempo iniziavo a muovermi su Internet, principalmente dall’università, che frequentavo sempre a Bologna. A quei tempi si usava ancora Usenet, ovvero i newsgroup. Mi dovevo scegliere un nickname, e com’è tipico di me ci pensai parecchio. Perché sapevo che non avrei più voluto cambiarlo. Allora mi diedi delle regole, dei canoni stringenti: “deve essere un termine giapponese, ma non un nome proprio” (perché pensavo fosse ridicolo usare un nome proprio di un’altra lingua solo perché, in quanto straniero, non sembra ‘solo un nome’), “deve essere una traslitterazione in romaji che non proponesse dubbi di allungamento vocalico”, “non dove contenere caratteri speciali non inclusi nello ASCII ristretto”, “deve essere composto da meno di otto caratteri”… tutte queste cose, e altre ancora che neppure mi ricordo. Alla fine pensai ai “cattivi” di Evangelion, e dissi: “shito”, apostolo. Chissà, forse inconsciamente volevo ‘espiare’ per non aver avuto il giusto coraggio di usare la traduzione corretta in luogo dell’errato “angeli”, di derivazione anglofona? Anche ai tempi sapevo benissimo che era un errore, ma pavidamente mi piegai sotto il peso di un “common sense” del tutto deforme. In ogni caso, ‘Shito’ fu. E no, con tutto quello che avevo ponderato, non avevo pensato alla cosa più banale: proprio assonanza con un termine non proprio profumato, ma molto abusato, della lingua inglese… contrappasso, contrappasso! (ride)
Ringraziamo Alex_Halman, Taro e Den-chan per averci fornito le immagini.