Il manga secondo Hirohiko Araki

Ultimo aggiornamento: 30 Novembre 2020 da Amministratore

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“Il Manga Secondo Hirohiko Araki” (“La Tecnica Manga di Hirohiko Araki” 2015, Shueisha; edizione italiana della Star Comics, 2018) ha un obiettivo ambizioso, forse un po’ arrogante: quello di indicarci la “Via Maestra” che determina la qualità di un manga, la risposta alla domanda “cos’è un manga?”. Non è, per sua esplicita ammissione, un manuale come ce ne sono tanti. È scritto per un ideale aspirante mangaka, indicandogli a grandi linee la strada da seguire nel suo percorso artistico e professionale. Ma è anche un documento prezioso per noi lettori che siamo o siamo stati in un momento della nostra vita appassionati di un genere che spesso è sinonimo stesso di “manga”: lo shonen. Sono state scritte altre dissertazioni su cosa rende un manga davvero tale, ma quella di Hirohiko Araki è particolarmente importante perché scritta da un autore ancora in voga.

Le Bizzarre Avventure di JoJo (JoJo no Kimiyouna Boken) iniziò la sua serializzazione su Shonen Jump nel lontano 1987, in piena epoca d’oro dello shonen e, pur non avendo mai raggiunto la popolarità dei suoi compagni di rivista come Dragon Ball e Saint Seiya, si è ritagliato una fetta di pubblico sempre crescente, fino al grande successo della trasposizione anime ancora in corso. Tutto questo sembra confermare le teorie di Araki: le indicazioni della “Via Maestra” per la creazione di un manga di successo sono ancora attuali.

Nonostante i metodi di fruizione occidentali ce lo facciano spesso dimenticare, il manga è un medium episodico, la cui vita o morte è determinata dalla sua posizione nelle classifiche di popolarità delle riviste. Il mestiere del mangaka è quello di catturare, emozionare e appassionare il lettore, invitandolo sin dalla prima pagina a leggere il suo fumetto, intrattenendolo per tutte le pagine commissionate, e concludendo in modo tale che il suo pubblico sia invogliato a seguire il prossimo capitolo. Lo shonen, quindi, deve essere un’escalation continua di episodi sempre “in salita”.

Mai un eroe potrà fare un passo indietro di fronte alle continue avversità che si ritroverà contro, dovrà sempre crescere per poter sconfiggere nemici sempre più forti. Per citare Araki, “non può essere uno shonen senza una scena di combattimento”, ma è anche necessario donare ai lettori “più che una battaglia, qualcosa che li rapisca emotivamente”. È per questo che l’eroe non lotterà mai per sé stesso, ma per un nobile obiettivo: primo fra tutti, la difesa di qualcun altro, come un amico. L’amicizia è infatti un altro dei temi fondamentali di uno shonen classico, e non possiamo immaginare nessuno dei personaggi più popolari senza pensare anche ai loro amici, personaggi secondari architettati per complementare le caratteristiche del protagonista.

Ma l’elemento principale che contraddistingue un manga da un fumetto occidentale è sicuramente il ki-sho-ten-ketsu: diversamente dalla nostra tradizione aristotelica in tre atti, la narrativa asiatica prevede una ripartizione in introduzione (ki), sviluppo (sho), svolta (ten), conclusione (ketsu). Il ki-sho-ten-ketsu è una struttura talmente comune da arrivare ad influenzare persino la maniera con cui i giapponesi formano i discorsi, e nasce con la poesia cinese in quattro versi:

Fatico a svegliarmi nel mattino di primavera(ki)
Tutt’intorno già trillano allegri gli uccellini (sho)
Nella notte s’è sentito rumore di tempesta (ten)
Chissà quanti teneri boccioli sono caduti (
ketsu)

  • Mattino di Primavera, Meng Hao Ran (689 – 740)

Questo schema è evidente già nella forma più primitiva dei manga, i 4-koma, dove ogni vignetta rappresenta uno dei quattro elementi. Da Osamu Tezuka in poi, è stato adattato prima a storie brevi autoconclusive e poi a lunghe serializzazioni, ma è solo una base su cui costruire infinite variazioni, come appunto quella dello shonen: dopo una presentazione, il più possibile sintetica, dei personaggi e della situazione (ki), ci viene presentata l’avversità da affrontare,
l’inizio dell’avventura verso l’obiettivo da raggiungere (sho), e i numerosissimi ostacoli (ten, ten, ten…)  che il protagonista riuscirà sempre a superare fino alla vittoria finale (ketsu).

Tutto ciò rende anche il più ingenuo degli appassionati quantomeno abituato ad un certo tipo di canovaccio, ma i prodotti formulaici compongono probabilmente da sempre la quasi totalità dell’intrattenimento di massa. Qualcosa di istintivo lega l’essere umano a determinate strutture narrative (vedi Campbell), e la particolare ricetta degli shonen manga rimane invariata da oltre 30 anni. Fast-food della narrazione per immagini, sicuramente, ma chi non desidera, almeno ogni tanto, il conforto di un sapore familiare e intenso, con la certezza che ti darà sempre la stessa soddisfazione? È lecito pensare che i lettori rivedano in quelle storie quella che è la vita di tutti i giorni, specie in un periodo delicato come l’adolescenza dove tutto il mondo sembra essere contro di te: una catena di ten, con la catarsi di un finale sempre positivo.

La ripetizione degli stessi temi trattati sempre allo stesso modo non fa di certo degli shonen dei capolavori della letteratura, ma nel libro di Araki c’è un aneddoto interessante che può farci capire meglio il perché sia un genere così efficace: quando si trovò a dover scrivere il risvolto di copertina del primo tankobondi JoJo, gli venne per caso l’idea di parlare della magnificenza dell’umanità. Da quel momento, JoJo è diventato “un’ode all’umanità”, e si potrebbe dire che è questo il tema di ogni shonen. O, per dirla in termini meno pacchiani (stiamo sempre parlando di Araki), una celebrazione della possibilità di superare sempre i problemi che inevitabilmente si presentano nella vita di tutti; una fantasia di cui molti hanno bisogno.

Tutto ciò ha reso gli shonen manga un fenomeno mondiale in ascesa, tanto da diventare parte integrante della nostra cultura popolare allo stesso livello dei film hollywoodiani (oggi più che mai influenzati dal modello dei fumetti fantastici); il libro di Araki ci offre una testimonianza diretta di quali siano le linee guida con cui vengono realizzati. È quindi una risorsa importante per gli aspiranti fumettisti (sorprendentemente tanti in Italia, ai quali faccio i miei migliori auguri), che in un mercato editoriale in continuo mutamento non trovano più facilmente una guida come quella degli editor per condurli verso la “Via Maestra” della narrazione, ma è anche una preziosa fonte per tutti i lettori che desiderano approfondire la propria passione per le loro serie preferite.

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Aldo

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