La vera storia de Il Ladro e il Ciabattino
Ultimo aggiornamento: 8 Marzo 2021 da Amministratore
La lunga e complicata storia di questo film non è riassumibile in “capolavoro perduto di un genio incompreso” o nel “sogno impossibile di un artista senza piedi per terra”. La verità sta nel mezzo.
Richard Williams aveva sempre avuto l’ambizione di essere un grande artista. Disegnatore eccellente e malleabile, cominciò a dedicarsi professionalmente all’animazione negli anni ’60, quando l’industria aveva già passato la sua epoca d’oro: solo la Disney dedicava budget considerevoli in lungometraggi animati, e le produzioni più comuni erano per la televisione, dove tempo e denaro scarseggiavano, o nella pubblicità. Lo studio londinese di Richard Williams produceva principalmente quest’ultima, assieme ad introduzioni animate per lungometraggi dal vivo (come What’s New Pussycat, Casino Royale).

Nel 1966 illustrò The Exploits of the Incomparable Mulla Nasruddin, una raccolta di brevi racconti morali in chiave umoristica risalenti alla Turchia del 13esimo secolo curata da Idries Shah, e decise di effettuarne una trasposizione animata, dapprima progettando una serie di cortometraggi, successivamente un lungometraggio. La produzione interessò finanziatori e distributori, e tra una pubblicità e l’altra lo studio di Williams ci lavorò fino al 1972, anno in cui per motivi economici poco chiari Williams interruppe i rapporti con la famiglia Shah, perdendo la possibilità di lavorare con il personaggio di Nasruddin. Non volendo gettar via il lavoro fatto fino ad allora, Williams proseguì la produzione del film mantenendo solo i personaggi originali dei quali continuava ad avere i diritti, e commissionò al compositore Howard Blake una nuova storia, “Tin Tack”, dalla quale ha origine il personaggio del ciabattino.
La produzione del nuovo film fu finanziata direttamente dallo studio, e Williams poté permettersi di fare di testa sua. Senza compromessi dettati da budget e tempistiche, era possibile realizzare qualcosa di mai visto prima, con un metodo di lavorazione libero da imposizioni pratiche. Sebbene non sia inusuale iniziare la produzione di un film animato senza una sceneggiatura definitiva, la produzione del film iniziò senza la finalizzazione del character design. Ci sono voci contrastanti riguardo all’esistenza o meno di storyboard, necessari per avere un’idea approssimativa del lavoro da effettuare per raggiungere il film finito; sappiamo che vennero realizzati sin da subito per singole scene, ma sembra improbabile esistessero per l’intero film.

Nel 1978, Williams trovò un finanziatore disposto a produrre il film: il principe saudita Mohammed bin Faisal, probabilmente incuriosito dall’ambientazione mediorientale, che mise a disposizione $100.000 per realizzare di un test di animazione definitiva da 10 minuti. Se il Principe fosse rimasto soddisfatto della scena, e avesse avuto prova che Williams e il suo studio erano in grado di portare a termine il progetto, il film avrebbe ricevuto il (considerevole) budget necessario. Williams decise che la scena da realizzare doveva essere quella più complicata del film, in cui il Ladro cerca di rubare le Sfere Dorate all’interno della Macchina da Guerra, un gigantesco ed elaboratissimo marchingegno ispirato ai disegni di Da Vinci. È probabilmente una delle scene più complesse mai realizzate in animazione tradizionale. Una quantità ridicola di oggetti in movimento in ogni singola inquadratura, che svolgono azioni intricate (per quanto buffo, ogni macchinario ha un preciso scopo), mentre centinaia di frecce piovono da ogni direzione in maniera realistica, mentre tutto cade a pezzi ed è in fiamme.
La prima scadenza non fu rispettata. Williams aveva bisogno di più tempo e più soldi (che mise di tasca sua) per arrivare al livello tecnico che riteneva necessario. Quella scena, tutto il film, doveva essere un capolavoro, l’evoluzione e quindi la salvezza del mezzo animazione, ormai vivo solo nelle scadentissime produzioni televisive. Anche la seconda scadenza non fu rispettata. Dopo un anno e mezzo, la scena della Macchina da Guerra fu mostrata al principe che, pur divertito, ritirò la sua offerta. Qualche anno dopo, il noto produttore Gary Kurtz (Star Wars) si interessò al progetto, ma lo abbandonò poco dopo per motivi non noti.

L’impressione, più o meno confermata all’epoca da Williams stesso, è che il film era diventato l’unica ragione dell’esistenza del Richard Williams Studio, che intanto sfornava una quantità impressionante di pubblicità di qualità elevatissima. Talmente elevata che uno spot della Fanta, che univa una partita di calcetto filmata dal vero a personaggi Disney disegnati in animazione tradizionale, attirò l’attenzione della Disney e di Robert Zemeckis, che trovarono nel Richard Williams Studio esattamente quello che cercavano per l’adattamento cinematografico del romanzo Who Censored Roger Rabbit?. Sotto la direzione di Zemeckis, Williams creò un lavoro ancora oggi insuperato: adattare dell’animazione tradizionale a un linguaggio cinematografico è un lavoro sicuramente mai tentato prima a quei livelli. Williams vinse due Oscar, e concluse il suo discorso di accettazione con parole emblematiche: “Il meglio deve ancora arrivare.”
Chi Ha Incastrato Roger Rabbit era già il terzo film su commissione che dimostrava ai produttori che Williams era capace di finire un lungometraggio in tempo e senza oltrepassare il budget. Gli Oscar e la pubblicità ricevuta grazie all’innovazione tecnica del film Disney permisero a Williams di cercare fondi ad Hollywood, e la Warner Bros. gli offrì un contratto più che soddisfacente: più di 20 milioni di dollari e altrettanti da spendere nel marketing. Nel 1989, la produzione poteva finalmente cominciare a pieno ritmo. Come avviene per molti film, alla firma del contratto si acconsentì all’eventuale coinvolgimento di un Completion Bond, l’intervento di una società esterna che si sarebbe occupata di completare il film se e solo se il regista non fosse stato in grado di presentare un prodotto finito in tempo e nei limiti del budget.

Il contratto con la Warner prevedeva il completamento del film entro il 1991. Meno della metà delle scene erano pronte, e un gran numero di pencil test dovettero essere scartati: non erano più all’altezza degli standard imposti da Williams, includevano personaggi ormai non più presenti o non corrispondevano al character design finalizzato con l’arrivo della Warner. Già da qualche anno lo studio di Williams era composto perlopiù da giovani con poca esperienza, e l’inizio della produzione a pieno regime rese necessario assumerne tanti altri, da tutte le parti del mondo. Lavorare nello studio di Richard Williams a The Thief and the Cobbler significava lavorare anche 60 ore alla settimana, con standard qualitativi altissimi e con una paga più bassa rispetto alla norma; sgarri anche piccoli significavano spesso il licenziamento. L’entusiasmo e l’inesperienza delle nuove leve permetteva una maggiore adattabilità allo stile del film, ma comportava anche tempi più lunghi.
Tutto questo non permetteva alla lavorazione di proseguire in maniera spedita, considerando anche che, nonostante esistesse una sceneggiatura più o meno definitiva da almeno il 1980, Williams continuava ad allungare o a modificare scene secondo lo stile di produzione che aveva seguito sin dall’inizio. Per quanto la Warner avesse cercato di convincere Williams ad includere canzoni in stile Disney (cercando il coinvolgimento di autori come Roger Waters e Paul McCartney), da quello che sappiamo la lavorazione del film fu priva di ingerenze produttive rilevanti. Williams era libero di fare quello che voleva, e il fatto che The Thief and the Cobbler fosse l’opera d’arte dell’animatore premio Oscar era il suo punto di forza. Dal materiale di pre-vendita, è chiaro che la Warner Bros. trattasse il progetto con grande rispetto, puntando molto sulla sua reputazione leggendaria del film e sulla visione artistica di Richard Williams.
Alla fine del 1992 sarebbe uscito Aladdin, il film della Disney simile come ambientazione e (in parte) character design (curato da animatori che avevano in precedenza lavorato con Williams al suo film); i due progetti avevano ben poco in comune, ma erano abbastanza somiglianti da rendere un’uscita successiva ad esso un suicidio commerciale. La scadenza si avvicinava, e mentre molte scene si allungavano, molte altre necessarie allo svolgimento della pur esile trama non erano state nemmeno incominciate. Intere giornate di lavoro venivano cestinate perché non conformi allo standard imposto da Williams. Cominciarono ad arrivare i primi segnali di preoccupazione da parte della Warner, e il Completion Bond cominciava a visitare lo studio per avere aggiornamenti sullo stato della produzione.
Dopo la prima scadenza non rispettata, Williams fu costretto a realizzare una copia lavoro da mostrare ai produttori della Warner, dando forse per la prima volta una forma al film. Buona parte delle scene erano completate, altri 15 minuti erano ancora in forma di pencil test (in certi casi risalenti ai primi anni 70), o storyboard realizzati in tutta fretta per l’occasione. Per quanto possa essere difficile giudicare un film dalla sua copia lavoro, risultava comunque evidente che il film aveva delle enormi lacune a livello narrativo: l’esilissima trama era una scusa per tenere insieme scene comiche e/o complesse.

Dopo la proiezione di una seconda copia lavoro realizzata qualche mese più in là, la Warner si ritirò dal progetto. Il film avrebbe richiesto almeno altri 6 mesi di lavorazione (uscendo dunque dopo Aladdin) e si era rivelato un esercizio di stile che difficilmente avrebbe coinvolto un pubblico poco interessato alle meraviglie tecniche. Il Completion Bond intervenne, portandolo a termine nel più breve tempo possibile, con meno soldi possibili e con l’aggiunta di canzoni in stile Disney in un tentativo di aumentarne l’appeal commerciale. Il risultato, The Princess and the Cobbler, uscì solo in Australia e Sud Africa. Nel 1994 la Miramax ne acquistò i diritti, lo accorciò ulteriormente e lo fece uscire negli Stati Uniti come Arabian Knight, incassando poche decine di migliaia di dollari. Ciò che doveva essere il trionfo della tecnica, il capolavoro artistico di Richard Williams, finì per essere completato con mezzi da animazione televisiva.
Il film rimase una curiosità per appassionati, visto nella sua forma originaria solo dai pochi che avevano avuto l’occasione di vederlo durante la lavorazione. Negli anni 2000 comparve su eMule una (pessima) copia della prima copia lavoro. In quegli anni, su originaltrilogy.org, era attiva una piccola comunità di cosiddetti fan editor, con l’hobby di rimontare film più o meno famosi, a volte per riportarli alla loro versione originale con materiale di qualità superiore (ad esempio Star Wars). Uno di questi progetti era il Recobbled Cut di Garrett Gilchrist, che aveva l’obiettivo di ricreare la copia lavoro conosciuta di The Thief and the Cobbler con parti provenienti dalle (poche, rare e di scarsa qualità) edizioni home video delle versioni “finite”. La dedizione di Gilchrist, l’affascinante storia di Richard Williams e le opportunità di sforzo collettivo date da internet fecero in modo che il progetto si arricchisse di una quantità impressionante di materiale, che di volta in volta forniva un tassello al complesso puzzle della realizzazione del film. Il Recobbled Cut è diventato di fatto la versione “standard” del film, ma sarebbe ingiusto considerarlo una Director’s Cut. Senza nulla togliere alla sua impresa titanica, Gilchrist ha effettuato delle “migliorie” che la rendono la sua una versione a parte del film: disegni originali, frammenti di scene portate a termine dal Completion Bond, un paio di sequenze colorate a partire dai pencil test e l’aggiunta di una scena completamente nuova, in forma di storyboard. Nonostante diversi tentativi, non ebbe mai l’opportunità di poter anche solo parlare del progetto con Williams.
Williams nel frattempo era diventato il docente di riferimento per chiunque volesse avvicinarsi al mondo dell’animazione. Grazie ai suoi corsi (e la sua fama come realizzatore delle animazioni di Roger Rabbit) era diventato un nome molto conosciuto nel mondo dell’animazione, ma dalla fine della lavorazione si rifiutò categoricamente di anche solo parlare di The Thief and the Cobbler. Il Recobbled Cut non poteva non accrescere la leggenda del film, che per la prima volta era disponibile per il grande pubblico, addirittura gratuitamente su YouTube (grazie al disinteresse degli aventi diritto), che è diventato l’oggetto di innumerevoli articoli, documentari (il povero ma buono Persistence of Vision del 2012), un fandub in italiano e soprattutto fonte di ispirazione per giovani artisti. L’interesse sempre crescente verso la sua opera fece sì che nel 2013, acconsentì a presenziare ad alcune proiezioni pubbliche dell’ultima copia lavoro da lui realizzata, ribattezzata The Thief and the Cobbler: A Moment in Time.
Williams morì nell’Agosto del 2019 a 86 anni, mentre lavorava, da solo e a tempo pieno, ad un adattamento animato della Lisistrata, a cui amava affibiare il titolo Vivrò Abbastanza a Lungo da Finirlo?. Anche (e forse soprattutto) grazie al Recobbled Cut, viene ricordato come uno dei più grandi maestri dell’animazione tradizionale. The Thief and the Cobbler, nonostante non sia mai uscito o terminato, è ricordato come uno dei grandi capolavori del mezzo ed effettivamente lo è, nel senso tecnico del termine: pochissimi film d’animazione possono vantare una tale qualità e complessità tecnica, e solo i grandi classici Disney degli anni ’40 possono essere considerati suoi pari. Un bellissimo involucro, che col senno di poi ha un valore perché contiene la storia della sua lavorazione. Alla pari di molte altre leggendarie opere incompiute, come SMiLE di Brian Wilson o Dune di Jodorowsky, la domanda da porsi non è Cosa sarebbe stato se fosse stato completato? ma Era davvero possibile completarlo?. La risposta è probabilmente no. Ma è proprio per l’impossibilità di completare un sogno impossibile che queste opere sono oggetto di studio, passione e fascinazione. E non uno dei tanti fallimenti dimenticati dal tempo.
– Aldo