Alita: Battle Angel – Recensione
Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio 2019 da editore
Il film di Alita è un po’ una di quelle cose che non ci credi sarebbero mai arrivate finché BAM, non ti trovi davanti ’sti occhioni giganteschi in CG, la Città discarica e tutti gli annessi e connessi e allora ti ricordi che inizi ad avere una “età” perché, mentre tutto il cosiddetto “universo nerd” cerca di capire (per ragioni squisitamente anagrafiche) chi e soprattutto che cosa sia Alita, te sei con una espressione ebete che dici: «No… ma… davvero?».
Alita per me non è un prodotto qualunque; è senza timore di esagerare il mio manga preferito e lei è stata la mia prima waifu, prima ancora che sapessi che minchia significa waifu, insomma, parliamone…
È oggettivamente una topa stellare e Yukito Kishiro ha avuto il pregio di mettere insieme un universo in bilico tra cyberpunk e dieselpunk che pochi altri sono riusciti a eguagliare nel tempo; che poi abbia perso un po’ la trebisonda in quel degli anni 2000 cercando di espanderlo è un altro paio di maniche…
Ma veniamo al film.
Il progetto, narra la leggenda, nasce 20 anni fa grazie al Guillermone nazionale che pare approcci James Cameron dicendo:
«Oh, senti ho letto ’sto manga, è una storia fichissima e mi piacerebbe che mia figlia vedesse un film su ’sta ragazzina tostissima».
Sua Maestà Cameron evidentemente quel giorno era ben disposto, si legge Alita e rimane folgorato, tanto da iniziare a lavorarci (si parla di 5 anni di sviluppo della sceneggiatura) ma arrivando poi a uno stallo, rendendosi conto che, a quei tempi, semplicemente non c’erano le tecnologie per rendere la sua visione della Città discarica, di Salem e di Alita su pellicola…
… E quindi si mette al lavoro su Avatar.
Fast forward di tantissimi anni, la tecnologia va avanti ma James no; James è rimasto invischiato su Pandora, troppo impegnato a espandere il suo universo ecologista dopo avere radicalmente rivoluzionato il modo di fare cinema d’intrattenimento… Di nuovo.
Eppure Alita è sempre lì che gli ronza nel cervello con i suoi occhioni, la chioma da punk rocker anni ’80 e le tutine di latex (buongustaio); la tecnologia c’è, il mercato non è mai stato così propizio essendo nel frattempo istituitosi il genere del cinecomic come vera e propria macchina stampadollari, però non può lasciare Pandora, il suo magnum opus, il suo Neon Genesis Evangelion… e allora, che cosa fare?
Ricordiamoci che stiamo parlando di James Cameron, non di Bruno Liegi Baston Liegi, e quindi decide di prendere il blocchetto degli assegni, il telefono e fa una chiamata in quel del Messico, casa Rodriguez.
La scelta di Robert “Sin City” Rodriguez è quantomai peculiare, a mio avviso, e faccio fatica a comprenderla: Rodriguez è un caciarone, è uno che fa film crudi, dove la gente si fa male, molto male, siamo lontani anni luce dall’azione buonista per famiglie di Avatar, il suo è un cinema di gente che viene trafitta, mutilata e spappolata, tanto che a un certo punto pare che i discendenti del fondatore del Grand Guignol gli abbiano telefonato dicendo:
«Ascolti señor, non crede di stare esagerando?».
Ricordiamoci che Rodriguez è uno che ha fatto impiccare a Danny Trejo un tipo usando le sue budella…
… Eppure sarebbe la persona più adatta a realizzare la visione di Kishiro, quella di un universo dove ormai vige esclusivamente la legge del più forte a suon di cavalli vapore e innesti cibernetici fatti con pezzi recuperati in una discarica, dove non c’è posto per il buon cuore e le buone azioni: in questo senso Rodriguez sarebbe la persona PERFETTA; ma c’è un MA grosso come Salem e ne parleremo dopo.
Arriviamo, chiuso questo enorme preambolo, ad Alita – Angelo della Battaglia.
Partiamo dal comparto visivo così ci togliamo subito dai coglioni la cosa degli occhioni…
Alita è un gioiello. Vaffanculo agli occhioni, vaffanculo alla uncanny valley, è un fottuto gioiello di produzione, non riesco a pensare, a oggi, a un altro personaggio in CG così fottutamente espressivo.
I suoi sorrisi di ragazzina sciolgono il cuore, il suo sguardo incazzoso è quello della guerriera marziana su carta preso e riportato nel tridimensionale con tutti i caveat del caso; Alita è il nuovo benchmark della computer grafica applicata agli attori. Punto. Stop. Cameron ha di nuovo spostato avanti l’asticella e tutti gli altri muti a ordinare bancali di Maalox per contenere il rosicamento, e tutto questo per un film che sostanzialmente è l’atto d’amore di un sessantenne verso un manga, perché, diciamolo (citazione necessaria), se il film di Alita non fosse mai uscito non gliene sarebbe fregato una sega a nessuno.
Unica cosa che mi ha lasciato perplesso è l’avere notato una certa inconsistenza degli occhi, come se alcune scene usassero un “modello” di occhi e altre scene un altro modello, a seconda di che cosa dovessero mettere in scena oppure, a volere pensare male, alcune scene siano stato oggetto di rework dopo la polemica OMMIODDIOQUEGLIOCCHIIIIIII…
La Città discarica (qua Città di ferro), Salem (pronunciato Zalem), e tutto il contorno è roba da lasciare la mascella a terra, tutto è reso nei minimi particolari partendo dalle tavole di Kishiro rivedendolo però nell’ottica del grande schermo: la Città discarica è un incrocio tra un barrio malfamato delle periferie messicane (evidentemente Salem è in Centro America) che, nelle scene panoramiche, diventa la città di Ready Player One traslata nel deserto con i suoi grattacieli di container; se nelle panoramiche l’aderenza al manga si perde quasi totalmente (restano però i muri di acqua ad alta pressione, vedi te che cosa gli è rimasto in testa), nei particolari l’aderenza è quasi pedissequa. Grandissimo pollicione in alto a Robert Cameron (spero iniziate a capire dove voglio arrivare).
Sì, ok, tutto bene e tutto bello, ma il film com’è?
Il film è un liberissimo adattamento del manga. Cameron si vede che si è documentato, tanto, integrando nel primo arco narrativo del fumetto informazioni che Kishiro rilascerà solo successivamente, sia attraverso il videogioco Memories of Mars, sia attraverso Last Order, tant’è che viene citato URM (qua presentato come la Tecnarchia di Marte, qualsiasi cosa voglia dire, però suona fichissimo), che è una roba di cui nella prima versione del manga Kishiro a stento nomina nell’ultimo volume e parla di un assalto delle truppe marziane alle città sospese che, a memoria dello scrivente, non trova rispondenza nell’opera originale.
Ma la più grande libertà che si prende è Nova. Desty Nova. Uno dei cattivi (ma poi è mai stato cattivo?!) più carismatici e fichi che il Giappone ci abbia mai portato su carta, qua lo troviamo come deus ex machina di Salem che tutto sa e tutto vede, invadendo i cervelli altrui dall’alto dei cieli.
Seriamente James, perché? Che ragione c’era? Lo scopo di Nova è DISTRUGGERE Salem, non governarla, perchè prendere un personaggio e snaturarlo completamente? Perché non usare al suo posto Bigott che per questa fase era più che perfetto?
CHE
SENSO
HA
Sono proprio quelle cose che non riesco a capire.
Certo, Nova che si toglie gli occhialetti e (se c’ho visto giusto) sotto c’è EDWARD FUCKIN’ NORTON è un bel sperare per un film che ha l’ambizione di diventare un franchise ma non capisco davvero il motivo di questa scelta. Però facciamo un bel respiro e torniamo a considerare il film come un qualcosa di derivativo rispetto al manga e non il manga riportato in celluloide, perché le libertà che James Rodriguez si prende non finiscono qua: il film attinge anche a grandi mani dall’OAV del ’93 fatto da Madhouse introducendo da lì un personaggio femminile (Chiren), di cui non frega niente a nessuno, interpretato da Jennifer Connely, il cui unico apporto al film è farsi vedere in guêpière; seriamente, è un personaggio di cui non frega niente a nessuno, fatto perché non freghi niente a nessuno e infatti sparisce senza lasciare alcuna traccia, forse il più grosso BOH del film insieme con Vector che, interpretato da un Mahershala Ali perfettamente in parte, sebbene assolva perfettamente al ruolo previsto per il personaggio nella sceneggiatura del film come in quella del manga, rimane un po’ troppo sullo sfondo, fungendo, di fatto, solo come interfaccia di Nova; il personaggio di Vector ricomparirebbe più avanti nella storia più che altro per una questione di coerenza dell’ambientazione, non mi sento di condannare in questo senso l’impiego che Rodriguez ne fa, resto piuttosto dubbioso (se non si fosse capito abbastanza) di questo Nova che è praticamente un Agente Smith di Salem.
Il ruolo del boss da prendere a botte viene sempre preso dall’OAV sostituendo a Makaku, il nemico della controparte cartacea, Grewishka; nell’economia del film ricopre il ruolo sovrapponendosi in modo praticamente 1:1, fa il suo ruolo di sacco da botte fino all’ultimo. Makaku sarebbe stato un personaggio forse più interessante ma in 120 minuti di pellicola era impossibile inserire tutto e, visto come Nova è stato rimaneggiato, avrebbe avuto anche poco senso.
Veniamo poi al Motorball che quando l’ho visto nei trailer ho esclamato un colossale CHECCIAZZECCAILMOTORBALL.
Il Motorball infatti ha una sua collocazione temporale e una funzione estremamente precisa nella cosmogonia di Alita ma Robert Cameron lo prende perché “WOW BOTTE” e lo butta pure qua e pure qui si vede che la classe non è acqua inserendo sequenze di mazzate velocissime che ho sentito in lontananza Michael Bay piangere per l’umiliazione visto che, a differenza dei suoi Transformers, qua si capisce e si vede tutto, non un groviglio di metallo accartocciato che si muove. Prendi appunti Michele, le botte veloci si fanno così, alla maniera della scuola Canadese-Messicana, che anche in questo frangente dimostra di aver fatto i suoi compiti mettendo sullo sfondo uno Jashugan di passaggio reso comunque perfettamente sia nell’armatura sia nella tecnica di combattimento… Vedremo l’Ars Magna? Sì? No? Forse? Solo il botteghino può dirlo, per il momento accontentiamoci di un Panzer Kunst reso a schermo in modo meraviglioso nella sua cattiveria a breve distanza, spero solo che nell’eventuale sequel tolgano l’imbarazzatissimo Guido Meda messo a doppiare la telecronaca, non è proprio cosa sua.
Tirando un po’ le fila di tutto questo sproloquio e sintetizzando la bottom line di questa recensione: Alita – Angelo della Battaglia è un’ottima trasposizione (pur con molte libertà) del primo arco narrativo del manga; Rodriguez aveva una sola scena che non doveva sbagliare, quella di Yugo e Alita verso Salem, e l’ha azzeccata al millimetro, quindi non gli si può recriminare niente a parte forse un finale apertissimo che lascia spazio ad almeno altri due film, di cui però non si sa se vedranno mai la luce.
Resta il dispiacere (ma nemmeno troppo) di un film dove il regista messicano sostanzialmente ci ha messo solo la firma lavorando con il pilota automatico inserito e che per questo poteva essere molto più rappresentativo della brutalità dell’universo di Kishiro; ma noi non ci dispiaciamo affatto e lasciamo la sala contenti di avere visto un solido film di SF d’azione con protagonista la waifu della tua infanzia.
Ne vogliamo ancora?
Ne vogliamo ancora.
Lord Gara