Breve introduzione alla storia del diritto giapponese: dalle origini all’era Tokugawa
Ultimo aggiornamento: 4 Aprile 2019 da Amministratore
Il Giappone non ha subito, fino al 1853 con l’apertura forzata dagli USA, l’influenza della cultura occidentale, ma ha avuto, nel corso della sua storia, molteplici rapporti con il potente dirimpettaio cinese sin dalla sua nascita e fino all’isolazionismo dell’era Tokugawa.
L’influenza cinese sul giappone, seppur mitigata dalle peculiarità proprie dell’arcipelago e poi accentuatesi nei decenni di isolamenti prima dell’apertura delle frontiere del 1853 ha prodotto i suoi effetti anche nella branca della legislazione e della amministrazione della giustizia.
Le prime testimonianze di un diritto giapponese risalgono all’era Taika, (645-650), in cui, alla fine di un’epoca di conflitti tra clan di famiglie aristocratiche viene dato impulso ad una serie di riforme per rafforzare il potere centrale dell’imperatore su tutto il giappone ed indebolire la forza delle famiglie nobiliari (1).
Tra queste le principali furono:
– l’abolizione della proprietà privata (tutte le terre appartengono all’imperatore),
– la creazione di una suddivisione amministrativa dell’impero in kuni (province) a loro volta ulteriormente divise in unità territoriali più piccole,
– un censimento delle terre detto kubunden ed un sistema di tassazione basato sull’individuo e non sulla quantità di terre da coltivare (2).
Sotto l’influenza cinese, viene introdotto nel paese un sistema di burocrazia statale, che porta ad una rigida divisione della società in “ranghi”, con la trasformazione dell’antica elite nobiliare di proprietari terrieri (Uji) nei Kuge, ossia i dignitari di corte che aiutavano l’imperatore nella gestione politica del paese dalla capitale, e che si esplica in particolare su quello che è uno degli elementi fondamentali della civilità giapponese: la produzione del riso, mediante un sistema di ripartizione periodica (ogni 6 anni) delle risaie di Stato, in proporzione alle necessità alimentari dei singoli,
Nascono delle raccolte giuridiche (quali il codice Omi-ryo o il più famoso codice Taiho), dette ritsu-ryo, compilate sul modello cinese dei codici della dinastia Tang. Queste raccolte erano composte di regole repressive (ritsu) e amministrative (ryo): al riguardo, si è rilevato come, mentre le disposizioni di natura penale e religiosa si fossero mantenute abbastanza fedeli alle fonti cinesi da cui provenivano, quelle di natura amministrativa subirono profondi cambiamenti per adattarsi alla realtà giapponese.
Nascono scuole di diritto in cui si insegnano e commentano i ritsu-ryo, anche se siamo lontani da una idea di diritti soggettivi, intesi come possibilità per il suddito di azionare una legge per tutelare una propria facoltà o proprietà (d’altro canto i terreni appartenevano all’imperatore, il suddito era solo soggetto di precetti da rispettare a pena di punizione, i rapporti “civilistici” tra privati non erano contemplati).
Il sistema amministrativo entrato in vigore con la riforma Taika entrò in crisi nei secoli IX e X, allo stesso tempo della perdita di potere del potere centrale, e del contestuale rafforzamento delle signorie locali.
Infatti, a seguito di diversi motivi che qui non è interesse indagare, si vennero a creare dei terreni (Shoen) esenti dalla tassazione dell’imperatore (perché di proprietà di famiglie aristocratiche, o di monasteri buddisti, o ancora a seguito di una legge che concedeva proprietà ed esenzione temporanea al nobile che si occupasse di bonificare un terreno paludoso).
In questo modo vennero a nascere delle vere e proprie signorie feudali, che si manifestano come un dominio inviolabile, caratterizzato da esenzione fiscale. Il signore locale aveva trasformato la sua funzione pubblica ereditaria in latifondo: esercitava all’interno dello Shoen poteri sovrani di giurisdizione.
Da questa situazione di incertezza politica, in cui l’imperatore e la nobilità dei kuge perdevano sempre più potere rispetto alla nuova casta feudale e militare deriva anche un mutamento del diritto applicato in giappone.
Mentre i nobili di più alto rango si dedicavano all’ozio e alle arti alla corte di Heian (Kyoto), i loro terreni venivano amministrati da nobili di rango inferiore da loro delegati, e la normativa che attribuiva la terra in proprietà esclusiva a chi la avesse bonificata aveva comportato la creazione di veri e propri centri di potere locali in cui il signore riscuoteva le proprie tasse dai contadini che lavoravano la terra che ormai era sua e non più dell’imperatore. In questo frangente assume più potere la casta dei guerrieri, che si riuniva attorno al signore e ne costituiva il braccio politico e militare, le singole signorie avevano usi e regole proprie che si sovrapponevano, e spesso superavano i consolidati ritsu-ryo, accentuando in modo ancora più netto la differenza di classe.
Siamo ormai nel XII secolo e questa casta militare (i bushi o samurai) viveva secondo un diritto consuetudinario proprio (buke-ho) fondato sull’idea di un obbligo di fedeltà assoluta del vassallo al suo signore, mentre le regole repressive sono applicate solo nei confronti dei contadini.
Per parecchi secoli, l’etica dei buke si mantiene a fianco della regolamentazione più dettagliata dei ritsu-ryo, in quanto quest’ultima continua ad essere applicata a coloro che non fanno parte della classe dei guerrieri: si afferma la superiorità del guerriero sul contadino.
Durante l’epoca del governo Kamakura (3) venne promulgato, nel 1232, lo Goseibai (o Joei dal nome dell’era) shikimoku. Prima di tale data, nell’era Kamakura, i processi si svolgevano senza procedure formali, ma dopo la rivolta dell’imperatore deposto Go-Toba, le continue dispute territoriali tra i signori feudali rese indispensabile fornire le linee guida (in 51 articoli) di un equo processo.
Il Goseibai shikimoku venne in gran parte abrogato durante il periodo Edo, ma alcune sue parti restarono in vigore fino alle riforme Meiji.
In questi secoli il giappone viene diviso tra alcuni grandi signori locali indipendenti: i daimyo, che sono continuamente in guerra tra loro, mentre l’imperatore rimane come figura importante e riverita per le sue prerogative sacre ma senza un reale potere.
La regolamentazione dei ritsu-ryo decade, e rimane in vigore solo l’antico diritto personale dei buke oltre ad un rigido sistema classista e feudale in cui il Signore detiene il potere assoluto sul suo dominio.
Infatti, nel corso del XIV secolo si viene a solidificare una rigorosa gerarchia, la quale escludeva l’idea di diritti spettanti all’inferiore nei confronti del suo superiore, la divisione in caste prevedeva in ordine decrescente: guerriero, contadino, artigiano e mercante.
Il contadino era considerato superiore rispetto ad artigiano e mercante perché produttore di cibo, ma spesso la distinzione tra le 3 classi minori era molto labile, e in alcuni casi la professione di mercante veniva svolta da membri della casta dei guerrieri.
Tale struttura fortemente verticale venne ulteriormente rafforzata durante l’isolazionismo dell’epoca Tokugawa (1603-1868).
Nel 1597 si inaugurò una politica di stretta sorveglianza e delazione con la costituzione nei villaggi di tutto il paese, di gruppi di cinque famiglie (goningumi) che rispondevano mutualmente e collettivamente degli atti illeciti di un singolo componente. E’ facile intuire che i componenti di ogni gruppo si controllassero a vicenda in una sorta di autogoverno repressivo.
Con l’ascesa della famiglia Tokugawa e la nascita dello shogunato, il giappone veniva nuovamente unificato sotto un forte potere centrale, con la corte imperiale a Kyoto e la famiglia Tokugawa a Edo (Tokyo). La natura divina dell’imperatore non veniva messa in dubbio (lo sarà solo dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale) ma i suoi poteri venivano ulteriormente ridotti e spostati allo Shogun, che esercitava un controllo pervasivo e totale sui daiymio.
Per prevenire una nuova epoca di rivolte e guerre civili, i Daimyo erano costretti a trascorrere un anno nelle loro terre ed un anno a Edo, sotto il controllo dello Shogun e con notevole dispendio economico dato che dovevano farsi accompagnare dall’intera loro corte, e svolgendo i viaggi lungo percorsi predeterminati, tenuti sotto controllo dalla milizia dello Shogun.
Inoltre molti ponti vennero distrutti, per rendere alcuni percorsi obbligati e tenere sotto controllo i movimenti della popolazione, che erano fortemente scoraggiati, in un clima di forte sospetto verso lo straniero (culminato con la politica di isolamento dal resto del mondo).
Vennero anche emanate (1615) delle regole di comportamento che avevano valore di legge Buke Shohatto (regole per le famiglie militari) e Kage Shohatto (regole per la corte imperiale).
Tuttavia, nei singoli Han, i signori locali mantenevano il proprio potere e le proprie consuetudini, cui i le classi inferiori erano tenute ad ubbidire, senza che allo Shogun importasse più di tanto, fino a che il suo potere non veniva minacciato.
È in quest’epoca che sono ambientate le avventure del vice shogun Mitsukuni Mito: secondo questa serie di racconti, narrati dai cantastorie già sul finire del periodo Edo, ma serializzati con grande successo nell’era Meiji, il nobile signore amava vestirsi da contadino e girare per il suo feudo accompagnato da due guardie del corpo, Suke, un abile spadaccino, e Kaku, dotato di forza straordinaria. Durante queste sue peregrinazioni, controllava di nascosto l’effettiva amministrazione della giustizia da parte dei vassalli e, di fronte alla presenza di malversazioni, si rivelava, punendo l’infedele amministratore.
Al di là dell’aspetto narrativo, questi racconti popolari danno l’idea di un paese frastagliato in tanti piccoli centri di potere, ma con la presenza dello Shogun e delle sue regole sempre incombente (infatti quando viene mostrata la malvarosa della famiglia Tokugawa tutti si inchinano terrorizzati).
Durante lo shogunato Tokugawa, l’amministrazione del diritto era appunto questo, una “amministrazione”, i magistrati (Bagyo) non erano giudici o giuristi per formazione e carriera, ma dei funzionari che espletavano il potere dello Shogun anche nell’ambito giudiziale, ma solo nella misura in cui ciò fosse strettamente necessario, in ossequio alla dottrina del Confucianesimo secondo cui fosse imprescindibile il rispetto delle gerarchie e che fosse uno spreco utilizzare risorse pubbliche per sbrigare liti private quando sarebbe stato più semplice che l’inferiore avesse ubbidito al superiore
Infatti, era si esistente un sistema diffuso di Tribunali, ma con molte restrizioni, le corti erano presenti solo in alcune città, non funzionavano per alcuni periodi dell’anno, e spesso prima di potervi accedere erano necessarie delle procedure preliminari, inoltre la conoscenza del diritto era non solo preclusa ma addirittura proibita al di fuori di alcuni soggetti privilegiati, in omaggio al principio confuciano che vuole il popolo ignorante delle leggi in modo che non diventi litigioso.
Tra le fonti dell’epoca la più importante era senz’altro il Kujikata Osadamegaki del 1742, un testo in due volumi che costituiva una raccolta di precedenti giudiziari e decreti shogunali che trattava di materia penale e amministrative, che serviva come manuale per i magistrati, che tuttavia non erano vincolati ad utilizzarlo come testo di leggi da applicare, ma solo come traccia ed esempio, dal momento che la legge veniva amministrata secondo il vincolo della direttiva di conformarsi all’interesse del daimyo. Il primo libro era consultabile, mentre il secondo era segreto, consultabile solo da una ristretta cerchia di ufficiali dello shogun.
I procedimenti erano di due tipi, i Deiri Suji e i Ginmi Suji.
Ginmi Suji: si occupava delle procedure giudiziali su iniziativa del funzionario sul modello cinese, erano procedure penali iniziate d’ufficio, molto crudeli e basate sugli status sociali del reo e dell’offeso: i crimini degli inferiori contro i superiori erano puniti in modo molto più crudele rispetto a quelli commessi da persone di rango elevato contro soggetti più umili.
Deiri Suji: procedure giudiziali su istanza di parte, in cui l’attore presentava una petizione ad un funzionario shogunale, e solo nel caso in cui la stessa venisse ritenuta meritevole allora esso poteva presentarsi davanti ad un giudice.
Naturalmente non era prevista alcun tipo di assistenza legale a chi si presentasse in giudizio, già era un fastidio per il magistrato avere a che fare con qualche contadino o mercante, figuriamoci dover pure sopportare la presenza di un avvocato!
Tuttavia, poiché spesso l’uomo si ingegna, dal momento che i postulanti ad un giudizio molto spesso erano forestieri costretti ad abbandonare i propri campi ed il proprio lavoro per recarsi in una delle città dove operava un bagyo per regolare tale afflusso lo shogunato aveva imposto che essi all’arrivo dovessero registrarsi e pernottare solo in alcune specifiche locande (kujiyado o shitayado). Va da sé che, da che mondo e mondo, quelli che ne sanno di più sono sempre, barbieri, osti e locandieri, per cui a forza di sentire le doglianze dei nuovi arrivi, e gli esiti delle sentenze di chi se ne andava dopo il giudizio, i locandieri (kujishi) si erano creati una involontaria formazione giuridica che spesso condividevano (di nascosto e dietro compenso) con i loro clienti, come una sorta di paralegali senza licenza.
Nel complesso tuttavia, il regime Tokugawa non incoraggiava il ricorso alle corti (semmai il contrario), ma preferiva che la gente comune, in ossequio alla tradizione confuciana, risolvesse le proprie questioni, soprattutto se di scarsa rilevanza, fuori dal sistema giudiziario, rivolgendosi alle figure di riferimento della propria comunità. Questa abitudine era incoraggiata anche dal sistema dei Goningumi, infatti gli abitanti dei villaggi preferivano dare all’esterno una immagine di serenità e risolvere da sé le proprie questioni piuttosto che far intervenire gli emissari del Daimyo o ancora peggio dello Shogun, che avrebbero potuto comportare pene e sanzioni non solo per il responsabile ma per l’intera comunità.
In tale sistema si innesta anche la tradizione dei “giri”, ossia le regole di comportamento che disciplinano quasi ogni aspetto della vita dell’uomo giapponese: esiste il giri del padre e del figlio, quello del marito e della moglie, quello dello zio e del nipote, quello tra i fratelli, e quelli al di fuori della famiglia come tra proprietario e conduttore, tra chi presta e chi riceve in prestito, committente e cliente, del padrone e dell’impiegato, del lavoratore più anziano e di quello meno anziano (si pensi alle ben note figure del senpai e del kohai).
Il giri sostituisce il diritto; lo si osserva spontaneamente perché si incorrerebbe nel biasimo della società non conformandovisi più che perché corrisponda ad una concezione della morale o della obbligazione in senso stretto, anche in questo caso, si sente una volta di più come la dottrina cinese del confucianesimo e del rispetto delle tradizioni e dello status quo permei in modo profondo la cultura giapponese.
Questo sistema giunse alla sua crisi e superamento solo con la forzata apertura del Giappone al resto del mondo, nella seconda metà del XIX secolo, nell’ambito di quello straordinario periodo di riforme e modernizzazione del paese noto agli storici come la “Restaurazione Meiji”, durante il quale, l’imperatore Meiji, rendendosi conto dell’arretratezza del diritto locale (ancora fermo ad un sistema tradizionale basato per lo più su fonti e concetti confuciani) rispetto ai ben più evoluti diritti occidentali, ritenne fondamentale dotare il giappone di un corpus di leggi più moderne e strutturate.
Ryoga
(1): Gli editti di riforma Taika sono un insieme di provvedimenti legislativi promulgati in giappone nel 645 durante il regno dell’imperatore Kotoku.
(2):Il sistema Kubunden, su modello cinese, divideva la popolazione per “famiglie” (unità base della tassazione) organizzate in villaggi. Le terre erano divise in base al sistema Jori che prevedeva la ripartizione di un grande quadrato di terra in altri trentasei quadrati di egual misura, a loro volta suddivisi in dieci strisce, assegnate temporaneamente alle famiglie. Gli assegnatari dovevano in cambio pagare delle imposte all’imperatore.
(3):L’era Kamakura(1185-1333) inizia con la vittoria militare del clan Minamoto (guidato da Yoritomo) che nel 1192 si fa nominare dall’imperatore sei tai-shogun (generalissimo che sottomette i barbari), di solito abbreviato in shogun. Il nome kamakura deriva dalla località (nella zona del Kanto) dove Minamoto no Yoritomo installò il suo bakufu (quartier generale) e di fatto divenne il centro del potere effettivo nel paese.
BIBLIOGRAFIA:
G.F. Colombo: Un paese senza avvocati? Stereotipi fraintendimenti e riflessioni storico comparative sulla professione legale in giappone
Renè David, Camille Jauffret-Spinosi: I grandi sistemi giuridici contemporanei